Flea: quando il funk incontra il punk!
Nuova serie di appuntamenti, sia sul mio canale che sul mio blog; analizzerò, nel corso delle prossime settimane, diversi bassisti, cercando di capirne le caratteristiche principali. Il primo bassista di cui mi andava di parlare è Flea, il celebre bassista dei Red Hot Chili Peppers.
Per chi non lo sapesse, i Red Hot pubblicano il loro primo album nel lontano 1984, e fu subito chiaro con chi avevamo a che fare. Nasceva in quel periodo, in California, qualcosa che successivamente avremmo imparato a chiamare “crossover”, un miscuglio di generi e stili musicali decisamente lontani gli uni dagli altri, normalmente. I Red Hot erano infatti in grado di mescolare rap, punk e… funky. Fu grazie a questa terza componente che Flea potè risaltare.
Le sue parti di basso fin da subito si rivelarono “non convenzionali”, caratterizzate da groove molto funk nelle ritmiche ma molto punk nell’intenzione. Il suono del basso di quel tipo si era sentito fino a quel momento in rari casi e quasi sempre legato all’uso del plettro.
Flea invece riuscì nell’intento di rendere funky anche ciò che funky non era…
I primi dischi dei Red Hot suonavano però sicuramente molto strani, forse un po’ troppo strani e non ebbero ancora il successo planetario che arriverà un po’ più tardi.
Nell’88 muore Hillel Slovak, primo chitarrista della band, a causa del suo abuso di sostanze non proprio legali; più o meno contemporaneamente Jack Irons, batterista della band decide di mollare, probabilmente scosso dalla perdita ( lo ritroveremo più avanti nei Pearl jam ).
E’ a quel punto che subentrano i 2 nuovi elementi che insieme a Flea e Kiedis hanno formato i Red Hot Chili Peppers come li conosciamo: John Frusciante e Chad Smith.
I 4 entrano in studio e il primo disco con la nuova formazione esce nel 1989. Si tratta di Mother’s milk, che ottiene un ottimo successo anche di vendite e consolida la band californiana come una delle più conosciute del momento. Flea si distingue subito e sul disco realizza parti di basso memorabili come quella di “Magic Johnson”, la cover di “Higher ground” di Stevie Wonder, ma soprattutto “Stone cold bush”. Slap e suono potente che si mischiano con il groove più funk, per una sonorità nuova e sconvolgente, per quei tempi.
Ma, come si dice in questi casi, il meglio doveva ancora venire.
Il disco successivo fu sicuramente il capolavoro della band, “Blood sugar sex magik”, che vide i Red Hot chiudersi in una villa fuori Los Angeles per più di un mese. Ne risultò un album in cui il mix di funk, rock e rap aveva trovato la perfezione e non ci fu singolo di quel dsico che non divenne una hit. Per quello che riguarda il basso, Flea utilizzò prevalentemente un MusicMan, a cui aveva fatto riadattare il ponte. Il suono che ne uscì era maestoso e non c’è linea di basso di quel disco che non meriti di essere analizzata e studiata da ogni bassista del pianeta.
Arriva poi il primo momento di crisi di Frusciante che lo porta fuori dalla band; è il momento di Dave Navarro che realizza con i Peppers il disco “One hot minute”.
Al suo rientro, Frusciante accompagna la band nella realizzazione di un altro disco di enorme sucesso commerciale: “Californication”, disco in cui sono contenuti molti brani dalle linee di basso degne di nota ( una su tutte: “Around the world” ).
La favola dei Red Hot finisce poi con il successivo album “By the way”, in cui alla title track, brano dallo stile inconfondibile, vengono alternate parecchie ballads, che caratterizzeranno il sound della band da lì in poi.
Ma nonostante tutto a Flea dobbiamo riconscere sicuramente il merito di aver fatto sposare il funky con tutto quello che è rock: a volte punk, a volte metal, a volte rap… E il risultato, negli anni è stato qualcosa di unico, il suo marchio di fabbrica che ce lo fa riconoscere qualunque cosa suoni, già dalle prime note.