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Come creare un fill di basso in 3 passi

Credo sia capitato prima o poi a tutti i bassisti del mondo: stai suonando un brano, dalla linea di basso abbastanza ripetitiva ( e di conseguenza noiosa ), e ad un certo punto ti prende la voglia di inserire quella “cosa”, che sul disco non c’è probabilmente, ma se ti esce come pensi sarà apprezzatissima, e in ogni caso, ti sarai divertito un po’ di più.

 

Ti è capitato, vero?

https://www.youtube.com/edit?o=U&video_id=aMHuV225gt4

 

Il problema è che spesso non sai cosa fare, oppure tutto quello che ti viene in mente non ti piace; spesso il problema è che lo spazio è veramente limitato ( meno di una battuta ), magari il tempo del brano è piuttosto veloce, e la conseguenza è che non facciamo niente, o se lo facciamo, poi il risultato non ci soddisfa.

Come fare?

 

Oggi provo a darti delle regole, 3 semplici regole da tenere in considerazione e dalle quali puoi partire per sviluppare le tue idee, i tuoi “fill”.

Con il termine “fill” solitamente ci si riferisce a qualcosa che ha più a che fare con la batteria che con il basso, ma noi prendiamo in prestito il termine per identificare quello che effettivamente andiamo a fare: un “break” all’interno del solito groove, che ci ricolleghi all’inizio di una nuova sequenza del brano ( una nuova strofa, il ritornello, ecc. ).

La differenza principale rispetto a quello che fanno i batteristi è che noi dobbiamo pensare anche alle note, ed è proprio da qui che voglio partire: stabilite prima di tutto da cosa volete attingere: la scala della tonalità del pezzo? Le note dell’accordo su cui vi trovate in quel momento? La scala blues? Potete usare ciò che vi pare ( che sia coerente con il brano, ovviamente ), ma sarebbe buona norma pensare a queste cose prima di buttarsi in un fraseggio ( soprattutto se siete alle prime armi o comunque questa situazione rappresenta per voi un ostacolo ).

Decidere cosa usare vi porta anche a decidere di conseguenza alla zona della tastiera in cui volete operare; spesso è più utile non spostarsi troppo dalla zona in cui vi trovate in accompagnamento, soprattutto se il brano è veloce; in linea di massima potete adattare la vostra idea alla parte di tastiera in cui vi trovate.

 

Per riuscire in un buon fraseggio, però, è ancora più importante la seconda regola: il ritmo. Una frase bella è una frase che sia interessante anche dal punto di vista ritmico. Cercate di pensare come farebbe un batterista: per loro la componente ritmica è importantissima, non avendo le note. Immaginate un fill di batteria nel punto in cui vorreste inserire il vostro fill di basso e poi provate a metterci su delle note, seguendo i criteri con cui le avete pensato seguendo la prima di queste 3 regole.

 

L’ultima ma più importante regola è questa: non esagerate. Il fill è bello se all’interno di un brano lo mettere una o al massimo 2 volte, non di più. Non cercate la finezza alla fine di ogni singola parte del brano. Prima di tutto rischieresti di scontrarvi con il fill vero e proprio del batterista, facendo in modo che non si capisca né quello che state facendo voi né quello che sta facendo lui.

In più troppi fill di basso fanno perdere l’attenzione e rischiate in questo modo che non vengano apprezzati.

 

Quindi, il mio consiglio è: esercitatevi, a casa vostra, suonando sui dischi, e in quella situazione elaborate più idee possibili. Quando poi suonate con la vostra band, scegliete dei punti strategici 8 in accordo con il vostro batterista ) e scegliete anche i vostri migliori fill, studiati in precedenza. Ci sarà sempre tempo, in futuro, per improvvisarli.

Siete pronti? Imbracciate il vostro basso e iniziate a divertirvi!

 

 

 

Di |2019-01-10T15:07:54+01:00Gennaio 11th, 2019|armonia, basso elettrico, blues, Esercizi per basso, Funky music, musica, teoria musicale|Commenti disabilitati su Come creare un fill di basso in 3 passi

I Doors avevano il bassista?

I Doors avevano il bassista? Che è un pò come chiedere: C’e vita su Marte? Che fine hanno fatto i dinosauri?

Credo che chiunque sia appassionato di musica sappia che effettivamente i Doors sono conosciuti per non usare il basso dal vivo, per lo meno così si è sempre saputo.

Ma in studio le cose sono ben diverse: se consideriamo l’inizio della band prima addirittura che prendessero il nome The Doors, addirittura la band prevedeva 3 elementi in più rispetto a quelli conosciuti: i 2 fratelli di Manzareck e Patty Sullivan che, indovinate un pò, era proprio la bassista.

Purtroppo per lei fu allontanata dalla band prima che cambiasse il nome in The Doors, e prima che il produttore Paul Rothchild li portasse con sè in studio per la registrazione del primo disco.

In realtà, fu poi lo stesso produttore a non appoggiare l’idea degli elementi della band di rimanere così, senza basso. Infatti, mentre Manzareck spingeva per essere lui ad eseguire le parti basse con i suoi strumenti, Rothchild sosteneva che almeno in studio e, almeno su qualche traccia, un bassista vero ci dovesse essere. E così fu.

Chiamò Larry Knetchel ( turnista d’esperienza, che aveva già suonato con artisti del calibro di Beach Boys, Mamas & Papas ed Elvis ), che suonò 7 brani del disco, ma ( da qui l’equivoco ) senza mai essere creditato.

Quando, anni dopo, venne alla luce, il produttore si difese sostenendo che Knetchel si era limitato a doppiare delle parti eseguite da Manzareck e per questo non era degno di nota…

Siamo sempre nel ’67 ed i Doors entrano in studio per la registrazione del loro secondo album, “Strange days”. Questa volta Rothcild chiamoò un bassista ufficale, Doug Lubhan, che, a tutti gli effetti, fu l’unico ad essere mai definito il 5° Doors.

Lubhan all’epoca suonava con i Clear Light, band che stava incidendo il primo album sotto lo stesso produttore, quel Paul Rothchild che ad un certo punto gli chiese inizialmente se gli andava di suonare qualche brano di Strange Days, per poi concludere offrendogli di diventare membro fisso dei Doors stessi.

Lubhan non la prese per niente bene,  vide come un’offesa il fatto che il produttore della sua band gli proponesse di entrare in un’altra band proprio mentre ne stava curando il disco, e, di conseguenza declinò.

Ma rimase comunque in veste di turnista, registrando quasi tutti i brani di Strange days e la maggior parte di quelli di Waiting for the sun, terzo album, del ’69. In questo disco compaiono comunque altri 2 bassisti: Leroy Vinegar, un jazzista con alle spalle una discreta carriera anche come solista, registrò “Spanish caravan”; mentre Kerry Magness registrò “Unknown soldier”

Arrivò l’abum succssivo, Soft Parade, e la critica si divise. L’accusa principale fu quella di un cambio di direzione, di sound, con l’aggiunta di fiati e in generale parti orchestrali, che non erano esattamente in linea con quello che erano stati i Doors fino a quel momento.

Doug Lubhan suonò ancora in questo disco, ma in percentuale minore rispetto ad Harvey Brooks, che suonò quasi tutte le tracce dell’album.

Brooks, già turnista d’esperienza, divenne poi molto celebre qualche tempo dopo, quando suonò su “Bitches brew”, uno dei tanti capolavori di Miles Davis.

Per rifarsi, e mettere a tacere le critiche, il disco successivo fu un ritorno al vecchio stile, e, probabilmente, il più grande capolavoro della band californiana: “Morrison Hotel”, che conteneva, tra le altre la celeberrima “Roadhouse blues”. Per Morrison Hotel, Rothcild e compagni optano per Ray Neapolitan al basso, che verrà sostituito da Lonnie Mack solo per la registrazione della stessa Roadhouse blues.

Siamo orami alla fine della carriera dei Doors con Jim Morrison; il disco successivo, infatti, sarà l’ultimo registrato dal re Lucertola con la band, che dopo la sua dipartita registrò comunque ancora 3 dischi prima dello scioglimento.

L’ultimo disco di Morrison e soci è “L.A. Woman”, del ’71. Cambia innanzitutto la guida: Paul Rotchild, infatti, decide di non produrre l’album dopo aver sentito “Love her madly” ed averla ritenuta “troppo commerciale”; gli subentra comunque Bruce Botnick e viene chiamato a suonare il basso Jerry Schaff, già bassista di Elvis.

In conclusione, se guardiamo bene, di bassisti, nei dischi dei Doors, ne sono girati, e non pochi. Senza contare i turnisti chiamati a suonare sui dischi post-Morrison e quelli della reunion dei primi anni 2000.

Che dire…I Doors avevano il bassista?

No. Ne hanno avuti almeno 15…

Alla prossima!

 

Di |2018-09-13T16:51:54+02:00Settembre 11th, 2018|basso elettrico, blues, musica|Commenti disabilitati su I Doors avevano il bassista?

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